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Agnès Sire, Gonzalo Leiva Quijada: Sergio Larraìn.

Inviato: mer nov 29, 2017 10:42 pm
da Michele Azzali
L’autore Gonzalo Leiva Quijada lo chiama “maestro della luce”, e dopo aver visto le sue foto, sarà pure una banalità, sono d’accordo. E aggiungo anche “della composizione”.
Ci sono alcuni, in questo forum, che conoscono già e prediligono l’opera di Sergio Larraìn (sulla i non c’è il puntino ma l’accento), e d’ora in avanti mi ci metto anch’io, anche se dopo la lettura del libro mi sento di definire il grande fotografo cileno un “poeta maledetto”.

Il libro contiene le fotocopie perfette di alcune delle lettere (con trduzione allegata) che scrisse ad Agnès Sire, direttrice artistica dell’agenzia Magnum, a Cartier-Bresson, e soprattutto quella al nipote Sebastian Donoso nel 1982, spesso citata per i suggerimenti in campo tecnico.
Qui però è necessario chiarire che, per quanto riguarda le fotocamere, Larraìn porta esplicitamente ad esempio una Pentax (erano gli anni in cui c’era la MX, ma questo modello è una mia supposizione), mentre parla di Leitz nel campo degli ingranditori.
Tutte le lettere però appartengono al periodo “meditativo”, una specie di seconda fase della vita dell’artista, che aveva già abbandonato la fotografia.
La mia impressione, assai poco poetica, è che quelli della celebre agenzia, di cui aveva fatto parte, abbiano pensato: “Questo ce lo siamo perso…”.

Sergio Larraìn nasce nel 1931 in una delle famiglie più ricche del Cile: il padre (Sergio Larraìn Garcìa Moreno) è un grande architetto, rettore universitario, collezionista d’arte precolombiana, spia al servizio della corona britannica, membro dell’aristocrazia cilena del primo ‘900. La formazione culturale quindi non può che essere di livello elevato. Da giovane è soggetto, in campo artistico, soprattutto all’influenza delle avanguardie europee. Fotograficamente si forma con i libri di Cartier-Bresson e Brassai, presenti nella biblioteca di famiglia, insieme ad innumerevoli testi di architettura.

Tuttavia presto rifiuta le agiatezze e le ipocrisie dell’alta società e, mentre si trova in California per gli studi superiori, decide di mantenersi da solo facendo lavori umili o stagionali. In questi anni acquista la sua prima fotocamera, una Leica IIIc, un usato d’occasione pagata a rate (5 dollari al mese).

Fino all’età di 37 anni viaggia intensamente, spesso accompagnato dalla moglie e da Pablo Neruda, amico di famiglia. Sono le fotografie dell’Italiano Giuseppe Cavalli che lo spingono a darsi alla fotografia. Il primo insegnante è Jorge Opazo, fotografo cileno.

Si applica con entusiasmo per diventare fotoreporter per le riviste, ma le tempistiche dettate da quel tipo di lavoro non fanno per lui, non ostante esegua alcuni reportage di ottima qualità, come ad esempio quello sulla mafia in Italia, per realizzare il quale entra in buoni rapporti con un potente boss siciliano. Il lavoro viene utilizzato da 19 pubblicazioni internazionali dell’epoca, ma lui preferisce i “vagabondaggi”, come li definisce lui stesso. In seguito, presa coscienza dell’assurdità del lavoro sulla mafia, brucerà la maggior parte dei negativi.

Entra a far parte dell’agenzia Magnum per una casualità: si trova in Brasile per una mostra e lì incontra Renè Burri. Gli consegna delle pellicole perché vengano sviluppate e stampate in Francia. Burri le mostra a Cartier-Bresson che, colpito, lo chiama all’agenzia.
Il suo atteggiamento verso le riviste e i giornali avrà grande infuenza sul maestro francese, che abbandonerà il reportage poco tempo dopo di lui. Personalità fragile, Larraìn si fece seguire, durante gli anni della Magnum, da uno psicanalista.

Il libro ci spiega le ragioni delle sue scelte di vita e ci fa immergere nel suo mondo, trattando anche degli aspetti “mistici”: considerava quasi un miracolo una buona foto, riteneva che per fotografare fosse necessario elevare lo spirito ad uno stato di grazia, anche grazie all’uso di droghe e di diverse pratiche analitiche (ad esempio lo Yoga).
Rimangono magistrali i lavori che fece nella città di Valparaìso e quello sui bambini che vivono per le strade di Santiago.

“La puissance du travail sur Valparaiso est exceptionelle”: scritto da Agnès Sire, autrice del libro ed ex direttrice artistica della Magnum non è poco, direi…

Conosciamo tutti la foto delle due ragazzine che scendono la scalinata, che sta in copertina e all’interno. Ho controllato su google maps: Pasaje Bavestrello nella parte ovest di Valparaìso c’è ancora. L’inferriata nella parte sinistra della foto è la stessa, dalla posizione delle ombre si capisce che la foto è stata scattata di pomeriggio perché la scala scende verso nord. La grande parete che fa da sfondo invece oggi è tutta imbrattata dalle vernici spray. La scalinata in realtà è molto lunga e ci troviamo nella parte più bassa, l’ultima rampa. Larraìn la voleva stampata con un’inquadratura più stretta (cito pag. 372). Questo fatto mi conforta molto, perché significa che ammetteva il ritocco, la rifilatura del quadro.
Nel libro ci sono altre foto fatte da scalinate (dall’idea che mi sono fatto, Valparaìso si presta…), quasi sempre dall’alto verso il basso.

Padroneggiava la tecnica: ci sono delle foto fatte in condizioni di luce difficilissime, soprattutto con l’attrezzatura dei primi anni ’50 (es. pag. 301). Umanissime e compassionevoli le immagini di prostitute e omosessuali nel bar del locale Los siete espejos. Ci si domanda con quale audacia Larraìn si avventurasse con la fotocamera in questi posti…
Il libro alterna, nelle diverse pagine di testo, le fasi di una biografia accurata, perfino coi ricordi dei suoi compagni di collegio. In merito alla sua fotografia, tratta anche gli aspetti artisitici, critici, professionali (gli anni della Magnum) e di inquadramento storico.

Nei primi anni ’60 arriva la notorietà: pubblica reportages sulle grandi riviste del tempo (Life, Camera, Du Atlantis), libri (El rectangulo en la mano, sulla fotografia, la composizione; Una casa en la arena, per accompagnare le poesie di Pablo Neruda: 35 foto, 3 ristampe;). L’Art Institute di Chicago gli dedica una mostra personale nel 1965.

Nel 1968 la rivista americana Photography Annual classifica Larraìn come uno dei più grandi fotografi dell’epoca. Ma nel luglio dello stesso anno incontra Oscar Ichazo, fondatore di un istituto di gnoseologia. E’ un incontro decisivo. Larraìn interrompe tutte le relazioni con il mondo della fotografia ed intraprende un percosrso spirituale, prima nella comunità Arica e negli anni successivi da solo. Nel resto del mondo è il periodo psichedelico, delle rivolte giovanili e della guerra nel Vietnam.

Vive con grande semplicità, soprattutto dopo la nascita del figlio Juan Josè (1973), allattato dalla madre Paz Huneeus per un anno prima di abbandonarlo insieme al padre, per partire con uno sconosciuto (diventerà poi funzionaria delle nazioni unite).
Nel ’76 critica l’agenzia Magnum accusandola di aver abbandonato la poesia per il lucro, gli ripugna l’onnipresenza del denaro e della cupidigia.

E’ disilluso dalla fotografia come mezzo di cambiamento o di trasformazione della società non ostante la forte denuncia causata, per esempio, dal suo reportage più famoso, quello sui bambini abbandonati di Santiago.
Si dedica unicamente all’educazione dei figli e si chiude sempre più in se stesso, ricercando lo stato chiamato Satori (“rendersi conto”, nel Buddismo Zen). A questa chiusura contribuisce non poco il regime di dittatura instaurato in Cile dal 1973. Tuttavia ai pochi visitatori appare gioioso e spiritoso, seppure magrissimo.
Durante gli anni ’80 e ’90 le sue foto vengono pubblicate nuovamente su riviste e in mostre di rilevanza mondiale, anche se lui è concentrato sulla meditazione.

Grande successo ha l’uscita del libro Valparaiso (1991): riporta alcune affermazioni di Larraìn che considera questa città un luogo iniziatico, che ha segnato il suo debutto fotografico: “E’ stato a Valparaiso che ho cominciato a scattare foto, camminando giorno e notte fra le sue colline”.
Ho scoperto che Valparaiso è chiamata “la perla del Pacifico” ed oggi il suo centro storico è patrimonio dell’Unesco.
Sergio Larraìn si spegne, per un attaco di cuore, il 7 febbraio 2012 a 81 anni.

Cito l’autore, dall’ultima pagina: “Attraverso il suo obiettivo il fotografo ha creato un’ estetica del visibile che polverizza lo sguardo convenzionale e che osserva con originalità”.
Il libro è un’edizione francese ma è stampato in Italia (vengono tutti da noi per la qualità) e il risultato è ottimo. Hanno usato due tipi di carta diversi, forse nel tentativo di mantenere il prezzo accessibile. Le foto sono stampate ed impaginate con rigore. Copertina telata con due inserti fotografici.
Io ho acquistato l’ultimo esemplare disponibile presso la libreria della Maison Européenne de la Photographie, durante un viaggio a Parigi. Era il campione per la consultazione ma era in ottimo stato, addirittura foderato in plastica trasparente. In rete si trovano anche le edizioni in Inglese (Aperture; Thames & Hudson;) e in Tedesco (Hatje Cantz) con finiture identiche. In Italiano niente.

Qui il link ad un video che sfoglia in anteprima il libro pagina per pagina: https://www.youtube.com/watch?v=8uR_hlzdaWM
La musica di sottofondo all’inizio è di Violeta Parra, grande amica di Larraìn.

Tre cose fastidiose:
- le note sono stampate nella pagina in fondo al testo;
- le didascalie delle foto sono in fondo al libro, anche se sono quasi irrilevanti dato che riportano solo luogo e data;
- i numeri di pagina (riferimento per le didascalie) sono troppo piccoli.

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Titolo: Sergio Larraìn
Autori: Agnès Sire, Gonzalo Leiva Quijada
Editore: Editions Xavier Barral (in francese; vedi sopra)
Anno di edizione: 2014
Prezzo di copertina: 65,00 euro

Un altro link al video di una conferenza su Sergio Larraìn: https://www.youtube.com/watch?v=IZfzZTD1i74